Il punto contratto a termine

Il contratto a tempo determinato, disciplinato dagli articoli 19 – 29, del decreto legislativo 81/2015, così come modificato dal decreto-legge 87/2018 (cd. decreto dignità), è stato interessato in questi mesi di emergenza epidemiologica e occupazionale (- 372 mila contratti a termine nel periodo febbraio 2021 – febbraio 2020) da una serie di interventi legislativi indirizzati a ridurre i vincoli e a favorire la loro attivazione e/o prosecuzione.

La regolamentazione ordinaria prevede che in occasione di contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, oppure di proroga (numero massimo quattro) del contratto che comporti una durata eccedente i 12 mesi e in caso di ciascun rinnovo (nuovo contratto che decorre dopo la scadenza del precedente) è fatto obbligo al datore di lavoro di specificare le cause che richiedono l’attivazione del contratto temporaneo (per l’ordinamento il contratto di lavoro subordinato tipico è quello a tempo indeterminato) ovvero:

  1. esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività;
  2. esigenze sostitutive di altri lavoratori;
  3. esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’ordinaria attività aziendale.

Le difficoltà occupazionali del periodo emergenziale hanno indotto il legislatore a “liberalizzare” il ricorso al contratto a tempo determinato già con i primi decreti d’urgenza (cura italia, rilancio, agosto) fino all’attuale decreto-legge 41/2021 (cd. sostegni) in virtù del quale, fino alla data del 31 dicembre 2021, e sempre nel rispetto del limite di durata massima di 24 mesi (sommatoria di tutti i contratti tra le stesse parti) è possibile rinnovare o prorogare per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta i contratti a tempo determinato, compresi quelli in somministrazione (agenzia) senza necessità di indicare le “causali”.

La deroga decorre dal 23 marzo 2021, data di entrata in vigore del già menzionato decreto sostegni, e non tiene pertanto conto delle proroghe e dei rinnovi intervenuti in precedenza.

La lettura della nuova disciplina,  avvalorata da nota del 16 settembre scorso dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, induce senza sostanziali dubbi a ritenere che:

  1. la proroga “acausale” potrà essere utilizzata anche nel caso in cui siano già state effettuate le ordinarie quattro proroghe previste  in via ordinaria dalla legge (decreto legislativo 81/2015, art. 21);
  2. nelle ipotesi di rinnovo del contratto non sarà necessario il rispetto delle pause intermedie tra un contratto e il successivo (dieci giorni dalla scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, venti giorni dalla scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi); il nuovo termine identificato con la data del 31 dicembre 2021 è da intendersi esclusivamente quale termine entro cui deve essere formalizzata la proroga o il rinnovo.

Una menzione a parte, con l’avvicinarsi della stagione estiva e l’auspicata graduale ripartenza delle attività turistiche, meritano i contratti a termine cd. stagionali per i quali già la disciplina ordinaria prevede l’esenzione dalle limitazioni stabilite per il contratto a termine comune.

Assume a tal proposito rilievo decisivo l’individuazione delle attività stagionali attribuita dalla legge (decreto legislativo 81/2015, art. 21) a un apposito decreto ministeriale sostituito, fino alla sua emanazione a oggi non ancora compiuta, dall’elenco (abbastanza anacronistico) contenuto nel Dpr 1525/1923.

Ulteriori fattispecie di attività stagionali possono essere individuate dalla contrattazione collettiva.

Proprio in riferimento a quest’ultima ipotesi la recente nota del ministero del lavoro (nota 413/2021) ha confermato la possibilità da parte della contrattazione collettiva (di ogni livello) di individuare ulteriori ipotesi di attività stagionali beneficiarie delle deroghe previste per le attività ricomprese nel Dpr 1525/1923.

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