Non sono rari i casi nei quali un lavoratore si rende responsabile di aver commesso condotte extra-lavorative in violazione di norme di legge in conseguenza delle quali il datore di lavoro interviene con un licenziamento per giusta causa.
La giurisprudenza ha affrontato numerosi fatti in cui al giudice viene chiesto di valutare se la condotta extra-lavorativa del dipendente è idonea a ledere la fiducia del datore di lavoro, in quanto non ogni condotta extra-lavorativa incide intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione.
Per meglio comprendere il nesso tra la condotta extra-lavorativa e la legittimità di un licenziamento disciplinare è quindi necessario verificare se quella condotta incide nel rapporto di lavoro andando a compromettere gli elementi che lo rappresentano necessariamente, quali l’obbligo di diligenza e di fedeltà.
Per esempio, la Cassazione con la pronuncia n. 8390/2019 ha rappresentato che: “In tema di licenziamento per giusta causa, la condotta extra-lavorativa consistente nell’aver rivolto una minaccia grave a soggetti estranei al rapporto di lavoro rende legittima la misura espulsiva solo quando si rifletta sulla funzionalità del rapporto stesso e abbia compromesso le aspettative sul futuro puntuale adempimento della prestazione”.
Nel caso richiamato la Cassazione ha rigettato il ricorso del datore di lavoro avverso la pronuncia che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento del dipendente reo di minaccia grave in confronto di terzi, in quanto ”la minaccia pronunciata fuori dall’ambiente lavorativo e nei confronti di soggetti estranei ha una valenza diversa, nell’accertamento della lesione irreparabile del vincolo fiduciario, rispetto a quella profferita nei confronti del datore di lavoro o in ambito lavorativo, perché non incide intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione cui è tenuto il dipendente nei confronti di un suo superiore”.
Sulla base di tale pronuncia si può affermare che non ogni condotta del lavoratore che si verifica nella sua sfera privata è idonea a ledere la fiducia del datore di lavoro. Tuttavia, questo non vuol dire che vi debba essere separazione tra sfera privata e sfera lavorativa o che comportamenti riprovevoli debbano ritenersi inidonei a giustificare il licenziamento del lavoratore solo perché avvenuti in contesti extra-lavorativi.
Sono di un certo interesse i casi che coinvolgono l’uso e la detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Su tali eventi la Suprema Corte è intervenuta con delle pronunce che ribaltano la responsabilità del lavoratore rispetto al caso precedentemente esaminato. Per esempio, la Cassazione, con la sentenza n. 12994/2018 ha affermato che: “In materia di licenziamento disciplinare, viola certamente il “minimo etico” la condotta extralavorativa di consumo di sostanze stupefacenti ad opera di un lavoratore adibito a mansioni di conducente di autobus.
Ma non solo, in quanto in un’altra antecedente pronuncia, (Cass. n. 16524/2015) la Corte aveva chiarito che ”La detenzione, in ambito extra-lavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti (nella specie, duecento grammi di hashish) a fine di spaccio è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario”.
Più recentemente, la Cassazione Sezione Lavoro con la sentenza n. 14114 del 23 maggio 2023, ha stabilito che è legittimo il licenziamento disciplinare senza preavviso nei confronti di un dipendente reo di violenza sessuale ai danni di una minore, trattandosi di una condotta che, pur essendo estranea al rapporto di lavoro, è idonea a ledere il vincolo fiduciario a prescindere dal contesto in cui sia stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, tanto più che l’attività lavorativa poneva il lavoratore a diretto contatto col pubblico.
In questo caso la condotta commessa non era in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro ma i fatti costituenti reato potevano assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto di fiducia sulla base della gravità del fatto costituente reato.
Sempre sul tema, fa discutere il licenziamento di una impiegata che ha girato un film hard fuori dall’orario di lavoro e nel pieno delle sue libertà personali; in una situazione del genere, la fattispecie in oggetto potrebbe configurare giusta causa di licenziamento solo qualora la natura della prestazione lavorativa svolta, o comunque gli interessi e le finalità dell’azienda, vadano oggettivamente in contrasto con l’essere protagonista di filmini pornografici, andando quindi a danneggiare l’immagine dell’azienda e facendo venir meno la fiducia riposta nel dipendente per poter svolger quel determinato ruolo.
Si può quindi concludere questa brevissima e sintetica disamina affermando che nei casi in cui un dipendente si renda responsabile di aver commesso fatti costituenti reato non sempre è possibile risolvere il rapporto di lavoro per motivi disciplinari in quanto, in primo luogo, la sfera lavorativa non è necessariamente condizionata dagli atti personali del lavoratore e ciò dipende in particolare dalla gravità dei fatti commessi. Ove invece, tali fatti sono da mettere in relazione con la sfera lavorativa, è senz’altro più semplice delineare il diritto del datore di lavoro di procedere con un licenziamento disciplinare.
Lo studio rimane a disposizione