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Con l’arrivo del periodo estivo si pone il problema di organizzare le ferie richieste dai lavoratori. Con il presente contributo, si vuole fornire un’analisi su tale istituto, riepilogando sommariamente gli aspetti normativi e le buone prassi per una loro corretta gestione.

La Costituzione, all’art. 36 stabilisce, come principio fondamentale, che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

L’articolo citato considera il diritto alle ferie quale diritto irrinunciabile, finalizzato al recupero delle energie psicofisiche e alla cura delle relazioni sociali. Occorre sottolineare come tale principio abbia innanzitutto un risvolto fondamentale sotto il profilo della sicurezza sul lavoro.

Infatti, in considerazione di quanto enunciato all’art. 2087 c.c., cioè che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere nel caso in cui abbia omesso di “vigilare rispetto alle misure atte a prevenire conseguenze dannose per la salute psicofisica del dipendente lavoratore” facendo salva solo l’ipotesi in cui la condotta del lavoratore si configuri come “abnorme”, quando cioè  si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro e del tutto imprevedibile. (Cass. N. 2403 del 27 gennaio 2022).

Secondo l’art. 2109 del Codice civile, la decisione (finale) sul periodo di fruizione delle ferie spetta al datore di lavoro pur considerando le esigenze del lavoratore. Infatti, il citato articolo così recita: “il prestatore di lavoro ha diritto (…) ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”.

Per fare un esempio pratico, accade frequentemente che sia il lavoratore stesso a proporre un periodo per il proprio godimento delle ferie; in tal caso può accadere che il datore di lavoro si trovi nelle condizioni di rifiutare. Il rifiuto deve essere necessariamente motivato, sulla base di esigenze organizzative e produttive oggettive, affinché non si configuri un comportamento lesivo dei diritti del lavoratore. Inoltre, nell’eventualità in cui il datore di lavoro sia impossibilitato a concedere le ferie nel periodo richiesto, deve proporre un periodo alternativo, garantendo così la loro fruizione.

L’ammontare delle ferie spettanti è regolamentato dal d.lgs. 66/2003, di recepimento di una direttiva europea; esso prevede che il periodo di ferie non debba essere inferiore a 4 settimane all’anno. La norma citata specifica che due settimane devono essere fruite nell’anno di maturazione, possibilmente consecutivamente e le restanti due settimane possono essere godute entro i 18 mesi successivi dal termine dell’anno della loro maturazione.

La contrattazione collettiva può stabilire periodi maggiori, ma gli obblighi di fruizione previsti dalla legge restano invariati.

Secondo la normativa vigente, le ferie non possono essere monetizzate, quindi non è ammesso il loro pagamento. Tuttavia, l’indennità sostitutiva per le ferie non godute può essere ammessa nei seguenti casi:

1) in caso di risoluzione del rapporto di lavoro;

2) nel caso in cui la contrattazione preveda un periodo di ferie superiore alle 4 settimane, per le giornate spettanti al lavoratore che eccedono le prime quattro.

Per quanto riguarda invece il caso in cui il lavoratore si ammali durante le ferie, esse sono sospese purché il datore di lavoro sia tempestivamente informato. In generale, se l’assenza per malattia si verifica prima dell’inizio del periodo feriale, il lavoratore va considerato in malattia e le sue ferie – in caso di chiusura dell’azienda per ferie collettive – inizieranno al termine della malattia, fatta salva la necessità del consenso del datore per l’eventuale prosieguo delle ferie oltre la data di piena ripresa dell’attività produttiva. Secondo la Cassazione a sezioni unite, tuttavia, con riguardo alla malattia insorta durante il periodo di godimento delle ferie, il principio dell’effetto sospensivo non ha valore assoluto ma tollera eccezioni, per la cui individuazione occorre aver riguardo alla specificità degli stati morbosi e alla loro incompatibilità con l’essenziale funzione di riposo, recupero delle energie psicofisiche e ricreazione, propria delle ferie. Quindi, l’avviso, comunicato dal lavoratore, del suo stato di malattia, sul presupposto della sua incompatibilità con le finalità delle ferie, determina – dalla data della conoscenza di esso da parte del datore – la conversione dell’assenza per ferie in assenza per malattia.

Altra situazione che si rappresenta nei luoghi di lavoro con una certa frequenza è quella di usare ferie e permessi individuali con modalità equivalenti. Va innanzitutto evidenziato che, mentre le ferie sono un diritto la cui fonte è la legge, i permessi trovano la loro disciplina nella contrattazione collettiva. I permessi individuali operano in ragione della riduzione d’orario e quindi, di norma, giustificano brevi assenze dal lavoro rispetto al normale orario giornaliero. La loro finalità è quindi diversa da quella delle ferie e la modalità di fruizione è regolata dalla contrattazione collettiva. In qualche caso i permessi assolvono alla necessità di gestire dei brevi periodi di contrazione lavorativa.

Ciò che può succedere è che sia le ferie che i permessi residuino per un significativo numero di giorni/ore al termine dell’anno. L’accumulo dei residui provenienti dagli anni passati non giova all’azienda per almeno due motivi: si genera un debito finanziario e si crea una situazione di difficoltà operativa nella gestione delle ferie e permessi pregressi che può vedere i lavoratori indisponibili a concedere gli accantonamenti maturati nel corso degli anni a vantaggio della propria azienda.

Per questa ragione è conveniente programmare fin dall’inizio dell’anno, i periodi di ferie nel limite massimo possibile, anche eventualmente ricorrendo alle ferie residue. La programmazione è dunque una buona prassi che, salvo eccezioni, consente di contemperare le esigenze organizzative dell’azienda con quelle dei lavoratori, nella modalità più conveniente al datore di lavoro; infatti le ferie possono essere fruite in forma collettiva, in conseguenza della chiusura dell’impresa in determinati periodi dell’anno, di norma coincidenti con il periodo estivo e durante le festività natalizie; oppure individualmente. In questa seconda ipotesi la programmazione può prevedere le ferie a “scorrimento”; tuttavia, la fissazione delle ferie individuali non deve essere arbitraria, nel senso che il datore di lavoro deve mediare tra la reale esigenza dell’impresa con l’interesse del proprio dipendente.

Un ultimo aspetto riguarda la frazionabilità delle ferie in più periodi all’anno: il principio da rispettare è che le ferie siano organizzate per apprezzabili periodi di godimento e l’arco temporale adeguato per corrispondere a tale condizione è di concederle per settimane intere (una, due o anche più). Cosicché, nel caso in cui un lavoratore chiedesse tre giorni nella settimana, la soluzione ritenuta corretta sarebbe quella di programmare una settimana di ferie contenente i tre giorni richiesti.

In ultimo, si ricorda che ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. 151/2015 i lavoratori possono concedere a titolo gratuito le proprie ferie maturate ad altri lavoratori dipendenti appartenenti alla stessa azienda, al fine di contribuire alla necessità di quest’ultimi di avere più giorni di ferie oltre a quanto stabilito dalla legge o dalla contrattazione collettiva per esigenze personali o familiari quali, ad esempio, l’assistenza ai figli minori.

Lo Studio rimane a disposizione.

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