Si propone una case history avente ad oggetto l’attività investigativa di un’agenzia interpellata dal datore di lavoro.
Il caso di cui si dà evidenza riguarda la condotta di una lavoratrice che ha subito il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c., in quanto il datore di lavoro aveva potuto accertare un improprio utilizzo dei permessi ex art. 33 L. 104/92 che sono quelli che consentono al lavoratore dipendente che assiste una persona con handicap in situazione di gravità, di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito e coperto da contribuzione figurativa.
La Cassazione, con la sentenza del 24 agosto 2022 n. 25287, ha stabilito che il datore di lavoro può senz’altro effettuare controlli sulla condotta del lavoratore rivolgendosi all’agenzia di investigazione. In tal caso, il controllo affidato ad un soggetto esterno all’azienda, sconta il limite di accertare fatti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione.
Si tratta di un principio più volte ribadito in quanto, con altre precedenti pronunce, la Cassazione aveva affermato che, per operare lecitamente, le agenzie investigative non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria in quanto riservata direttamente al datore di lavoro in applicazione del principio di cui all’art. 3 St.Lav.
Per tornare al caso proposto, il datore di lavoro contestava, nel 2019, una sua dipendente in quanto aveva ritenuto che i permessi di cui all’art. 33, fossero stati da lei utilizzati in maniera fraudolenta, arrivando così al provvedimento di licenziamento. La società poté ricostruire gli spostamenti extralavorativi della dipendente, arrivando a sostenere che nei giorni di utilizzo dei permessi la ricorrente non si fosse occupata dell’anziano parente.
L’indagine fu affidata ad una agenzia investigativa la quale, al termine degli accertamenti, consegnò alla società un plico con i riscontri dell’indagine e dai quali risultava che, effettivamente, nei giorni di godimento dei permessi la dipendente non avrebbe nemmeno visto lo zio sofferente, essendo occupata in tutt’altre faccende.
Il giudice adito dalla lavoratrice, espletata l’istruttoria orale e documentale, ha considerato fondate le contestazioni datoriali, avendo il datore di lavoro sostanzialmente provato la sussistenza dei fatti addebitati alla lavoratrice, nei loro elementi essenziali, e non avendo, di contro, la ricorrente provato di avere svolto, nei giorni in contestazione, attività – anche al di fuori del luogo ove si trovava il disabile – connesse alle esigenze di assistenza di quest’ultimo.
In quel caso, le testimonianze rese dai due agenti dell’agenzia di investigazione, unitamente alla documentazione dai medesimi prodotta, sono state ritenute sufficienti per dimostrare la fondatezza della contestazione e la legittimità del licenziamento.
In merito al ricorso all’agenzia di investigazione, la giurisprudenza si è più volte occupata del presupposto dell’illegittimità del controllo operato dal datore di lavoro ai fini dell’accertamento del fatto contestato in sede disciplinare e della conseguente inutilizzabilità della prova, in assenza di un illecito che giustifichi l’attività investigativa.
Con una sentenza del 2014 la Suprema Corte aveva affermato che per giustificare il ricorso al controllo occulto “difensivo” era sufficiente che vi fosse il ragionevole sospetto che il lavoratore tenesse comportamenti illeciti e che non vi fosse la finalità di ampliare l’oggetto della contestazione disciplinare.
Questo principio viene confermato dall’ultima pronuncia del 2022 con la quale, nel giudizio di impugnazione del licenziamento, la Corte di legittimità ribadisce che, per costante interpretazione giurisprudenziale, l’attività di controllo sui lavoratori per mezzo di soggetti esterni è consentita solo allorché abbia a oggetto la commissione di atti illeciti e non sconfini nella vigilanza sull’attività lavorativa vera e propria: il controllo esterno, quindi, deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione.
Nel caso che abbiamo considerato, il controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex art. 33 L. 104/92 non ha riguardato l’adempimento della prestazione lavorativa, essendo stato effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale consistente nel rendere la prestazione lavorativa. Si deve quindi ritenere legittima l’attività svolta dall’agenzia di investigazione.
Lo Studio resta a disposizione