Con la sentenza n. 9453 del 6 aprile 2023, la Cassazione è entrata nel merito di un licenziamento inquadrato nell’ambito dello scarso rendimento, stabilendo che tale tipologia di licenziamento è legittima, qualora si presentino alcune particolari condizioni.
Nel caso trattato, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento per scarso rendimento di un dipendente di una banca, con il motivo “di aver fatto visita a un modestissimo numero di clienti e di aver reso una prestazione lavorativa insufficiente nel primo trimestre 2016, limitata all’acquisizione di un solo cliente”, che a confronto con i dati di produzione (raccolta impieghi) degli altri colleghi, “enormemente superiori” a quelli del dipendente, ha fatto emergere l’effettività dello scarso rendimento e la sua gravità.
Il concetto di “rendimento” è strettamente collegato al risultato dell’attività svolta dal lavoratore in un determinato arco temporale, essendo il dipendente, ai sensi dell’art. 2094 c.c., obbligato a mettere a disposizione le proprie energie e a svolgere, secondo tempi e modi stabiliti dal datore di lavoro, la prestazione lavorativa, nel rispetto dell’art. 2104 c.c., con la diligenza richiesta “dalla natura della prestazione dovuta”.
Pertanto, a fronte di una evidente negligenza prestazionale che determini una elevata sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione e quanto effettivamente realizzato da un determinato lavoratore in un periodo di riferimento, per il datore di lavoro è possibile attuare il licenziamento disciplinare per scarso rendimento, ai sensi dell’art. 3 l. 604/1966.
Tuttavia, è bene evidenziare che in più occasioni la Suprema Corte ha stabilito che il “rendimento inferiore al minimo contrattuale non può integrare da solo gli estremi per un licenziamento per scarso rendimento”, essendo il lavoratore dipendente obbligato ad un facere (obbligazione di mezzi) e non ad un risultato; inoltre, non può parlarsi di scarso rendimento ogni qualvolta l’inadeguatezza della prestazione sia imputabile alla stessa organizzazione dell’impresa, oppure a fattori non dipendenti dal lavoratore.
Tale fattispecie, richiede quindi la presenza di alcuni indici necessari, quali:
- Una significativa inadeguatezza della prestazione resa dal lavoratore e dei risultati nettamente inferiori rispetto alla media delle prestazioni rese da lavoratori con medesime mansioni e qualifica, indipendentemente dagli obiettivi prefissati;
- La chiara imputabilità all’esclusiva negligenza del lavoratore, con esclusione di fattori organizzativi o socio-ambientali dell’azienda;
- Una notevole persistenza della condotta negligente del lavoratore per un determinato arco temporale e non collegato ad un singolo episodio.
Peraltro, allo scarso rendimento del lavoratore si possono riferire alcune condotte esemplificative di una consapevole indolenza, per esempio, quella del lavoratore che, in modo reiterato, rimanga assente ingiustificato nelle giornate (più tipicamente) del lunedì o del venerdì.
In questi casi, piuttosto di essere indulgenti con il lavoratore giustificando a posteriori l’assenza con un permesso retribuito, sarebbe opportuno avviare una contestazione disciplinare al fine di dare evidenza della violazione delle regole in materia di rapporto di lavoro e rilevare un nesso con una propensione alla negligenza.
In sostanza, per poter intraprendere un licenziamento imputabile al lavoratore in conseguenza della sua condotta, occorre rilevare un parametro oggettivo che permetta di determinare lo “scarso rendimento” sotto il profilo del risultato atteso dalla sua mansione in confronto ad altri colleghi impiegati nelle stesse attività e, più in generale, sul quale sia possibile enunciare la violazione dei principi di correttezza e buona fede.
Lo studio rimane a disposizione