
La Corte di Cassazione con ordinanza n. 24416/2025 ha ritenuto dovuto il versamento dei contributi connessi all’indennità sostitutiva del preavviso anche se la stessa non è stata corrisposta ai lavoratori, a seguito dell’espressa rinuncia all’emolumento da parte dei lavoratori medesimi.
I giudici nomofilattici reputano l’obbligazione contributiva, in funzione della sua natura pubblica, dotata di sostanziale autonomia rispetto all’obbligazione retributiva intercorrente tra datore di lavoro e lavoratore, tale pertanto da non poter essere inficiata dalla autonomia negoziale delle parti che può disporre, entro determinati limiti, diversamente degli aspetti retributivi insiti nel rapporto di lavoro.
La Suprema Corte, a corollario della propria decisone, richiama il principio del minimale contributivo di cui all’art. 1, del decreto-legge n. 338/1989 secondo cui la contribuzione deve sempre essere versata in riferimento alle retribuzioni dovute per legge e/o contratto collettivo e non a quelle effettivamente corrisposte.
L’assoggettamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, considerata la sua caratteristica retributiva, all’obbligo contributivo insorge contestualmente all’acquisizione di efficacia del licenziamento a prescindere dalla circostanza che l’indennità sia o meno stata effettivamente corrisposta al lavoratore.
I due pilastri normativi, rispettivamente quella della natura pubblicistica dell’obbligazione contributiva ex art. 2115, comma 3, del Codice civile e quello del minimale contributivo secondo il quale la retribuzione che deve essere assunta come base imponibile ai fini contributivi non può mai essere inferiore a quella stabilita dalla fonte legale e/o contrattuale, non possono secondo i giudici della Corte essere erosi da alcuna rinuncia o accordo transattivo intercorso tra le parti.
A identica conclusione la Corte di Cassazione era già pervenuta con sentenza n. 12932, del 13 maggio 2021 che aveva affermato il principio secondo cui l’obbligo di pagare la contribuzione sull’indennità sostitutiva del preavviso insorge in connessione all’efficacia dell’intimato licenziamento, a prescindere dalla rinuncia alla sua percezione da parte del lavoratore pur nel contesto di un accordo transattivo.
Nell’ordinanza la Cassazione aveva ribadito come alla base del calcolo dell’imponibile previdenziale deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o contratto collettivo e non quella effettivamente corrisposta.
Sempre in ordine all’obbligazione contributiva è opportuno richiamare altre due recenti sentenze della stessa Corte di Cassazione, la n. 30428 e la n. 30457/2025 in materia di “minimale contributivo”.
Con le due ordinanze di cui sopra, i giudici della Suprema Corte hanno avuto modo di ribadire come la retribuzione che deve essere assunto a riferimento per il calcolo dei contributi da versare sia solo quella stabilita dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva.
Altro aspetto, che emerge come decisivo nelle due sentenze in commento, riguarda l’ancoraggio della retribuzione imponibile alle retribuzioni indicate dai CCNL comparativamente più rappresentativi su base nazionale, a nulla valendo l’applicazione da parte del datore di lavoro di tariffe retributive stabilite da contratti stipulati da associazioni sindacali prive della necessaria rappresentatività (non leader).
E d’altro canto neppure retribuzioni inferiori originate da un contratto di prossimità ex art. 8, del decreto-legge n. 138/2011 legittimamente sottoscritto rilevano ai fini dell’inderogabilità del “minimale contributivo”.
Necessario, pertanto, da parte del datore di lavoro aver ben chiara la distinzione tra la disciplina economico – normativa di natura contrattuale applicabile al rapporto tra le parti e quella alla base degli obblighi previdenziali che non possono non tener conto di quanto sancito dall’art 2070, del Codice civile che individua nell’attività effettivamente esercitata dall’impresa il parametro per identificare il contratto collettivo da applicare.
Da quanto esposto appare, con chiarezza, come l’obbligazione contributiva rivesta una natura autonoma rispetto quella retributiva in ossequio alla sua preminente funzione pubblicistica, sottratta alla libera disponibilità delle parti del contratto di lavoro e, conseguentemente, non derogabile in peius con riferimento al “cd. minimale contributivo” nemmeno attraverso la contrattazione integrativa aziendale o di prossimità, nel rispetto della disposizione di cui all’art. 2115, comma 3, del Codice civile.
Lo Studio rimane a disposizione.



