Sempre più frequentemente ci si interroga se, nel caso di adesioni tardive alla previdenza complementare, anche dopo anni rispetto alla prima assunzione, sia possibile destinare al fondo di previdenza anche le quote di trattamento di fine rapporto già maturato prima dell’adesione.
Tale questione presenta uno scenario complesso, soprattutto per le aziende con un numero di dipendenti maggiore di 50, per i quali, a partire dal 2007, il TFR viene obbligatoriamente versato al Fondo di Tesoreria custodito dall’INPS. L’Agenzia delle Entrate, la Covip e da ultimo l’INPS hanno chiarito modalità e condizioni del trasferimento delle quote di TFR pregresso.
Sulla base delle previsioni contenute nel D.Lgs. 252/2005 il lavoratore dipendente ha sei mesi di tempo dal giorno dell’assunzione per effettuare la scelta di destinazione del TFR che sarà maturato durante il rapporto di lavoro. La scelta viene compiuta con la compilazione del modello TFR2, il quale permettere di destinare il TFR ad un fondo di previdenza complementare oppure di accantonarlo in azienda.
In merito al TFR pregresso, va notato come la norma del 2005 non abbia negato la possibilità di trasferire il TFR pregresso, ovvero già accantonato presso il proprio datore di lavoro, alla previdenza complementare.
L’Agenzia delle Entrate, nei vari interventi compiuti in materia, ha menzionato la fattispecie del conferimento del TFR pregresso chiarendo che tale opzione non concretizzava una causa di assoggettabilità fiscale delle somme trasferite dal datore di lavoro alla forma di previdenza complementare, in quanto il trasferimento di accantonamento viene imputato alla posizione individuale del lavoratore nel fondo, sfuggendo alla sua immediata disponibilità finanziaria e quindi assoggettato a tassazione solo al momento dell’erogazione della prestazione pensionistica (che fosse un riscatto, una rendita o capitale). La Covip (commissione di vigilanza sui fondi pensione) ha espresso, nel 2014, un parere positivo rispetto alla possibilità di trasferimento di quote di TFR pregresso riferite a periodi successivi al 2006 di un lavoratore alle dipendenze di un’azienda con più di 50 addetti.
Successivamente, l’ente di vigilanza ha inoltrato un quesito all’Inps, il quale, solamente nel 2018 si è espresso negativamente, non prevedendo la possibilità di trasferire il TFR pregresso dal Fondo di tesoreria al fondo di previdenza complementare anche nel caso in cui fosse presente un accordo tra datore di lavoro e lavoratore. Sarà l’INPS, con il Messaggio n. 413 del 2020 a sancire definitivamente l’impossibilità di trasferimento del pregresso già versato al Fondo di tesoreria che, secondo INPS, è una vera e propria gestione di natura previdenziale. Pertanto, sulla base di tale decisione, il TFR pregresso presso il Fondo rimane indisponibile sia al lavoratore sia al datore di lavoro, consentendone lo smobilizzo solo per anticipazioni o per liquidazioni definitive in caso di chiusura del rapporto di lavoro.
Da un punto di vista operativo, in conclusione, il datore di lavoro con almeno 50 addetti che dovesse ricevere la richiesta del TFR pregresso da parte di un dipendente assunto, ad esempio, nel 2000, potrà consentire il trasferimento – solo se d’accordo col dipendente – della quota accantonata in azienda dal 2000 al 2006 incluso, senza possibilità alcuna di smobilizzo delle quote di TFR destinate dal 2007 in avanti al Fondo di tesoreria.
Alla luce delle disposizioni Inps, si riscontra quindi una penalizzazione nei confronti dei dipendenti che si vedono obbligati ad accantonare il TFR al fondo di tesoreria, in quanto costretti a ricevere la quota di TFR accantonata in azienda solo alla fine del rapporto (oppure sottoforma di anticipazione) secondo la tassazione “ordinaria”. Le regole di liquidazione delle prestazioni di previdenza complementare, invece, garantiscono l’applicazione di regimi fiscali ben più vantaggiosi prevedendo l’applicazione delle ritenute IRPEF a titolo d’imposta fra il 15% e il 9% su tutte le quote di TFR, a prescindere dal momento storico del relativo accantonamento.