04 02 2022

In seguito alla recente proroga dello stato di emergenza sino al 31 marzo 2022, il Ministero del lavoro ha provveduto ad effettuare l’aggiornamento delle faq riguardanti la gestione dello smart working durante il periodo emergenziale.  

Nell’occasione, si illustra il recente intervento dell’agenzia delle entrate riguardante il regime fiscale agevolato dei lavoratori impatriati, applicabile anche ai lavoratori che svolgono la propria attività in modalità di smart working per aziende residenti all’estero e l’ applicazione del lavoro agile per i lavoratori c.d. “no vax”, alla luce del nuovo obbligo vaccinale introdotto per i lavoratori con più di 50 anni di età.

Le faq

Come vanno eseguite le comunicazioni di smart working nel settore privato fino al 31 marzo 2022?

Ai sensi dell’art. 16 DL 221/2021, che rinvia all’Allegato 1 del medesimo Decreto (c.d. Decreto Natale), il termine per l’utilizzo della procedura semplificata di comunicazione dello smart working è prorogato fino al 31 marzo 2022. È, pertanto, utilizzabile la procedura semplificata già in uso (per la quale non è necessario allegare alcun accordo con il lavoratore), con modulistica resa disponibile dal ministero del Lavoro. Resta inalterato anche l’applicativo informatico da utilizzare per l’invio della comunicazione.

Nella comunicazione “massiva” semplificata adottata per la situazione emergenziale, i datori di lavoro del settore privato devono indicare la fine del periodo di svolgimento della prestazione in modalità smart working?

, fino alla cessazione dello stato di emergenza da COVID-19, i datori di lavoro del settore privato devono comunicare al ministero del Lavoro, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito.
Nel caso di comunicazioni già inviate, ciò può essere eseguito modificando lo stesso file utilizzato per la comunicazione “massiva semplificata”, qualora fosse stata utilizzata tale modalità di comunicazione, oppure procedendo con una comunicazione “massiva” o singola di modifica, qualora fosse stata utilizzata la procedura già disponibile prima dell’insorgere della pandemia.

Sono un lavoratore fragile, ho diritto a svolgere la prestazione lavorativa in smart working?

Si, fino alla data di adozione del decreto del ministero della Salute, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e per la pubblica amministrazione, che procederà ad individuare le patologie da prendere in considerazione e, comunque, non oltre il 28 febbraio 2022, i lavoratori fragili svolgono di norma la prestazione lavorativa in smart working, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto.

Casi particolari

Smart working per lavoratore “no vax”

Il DL 1/2022, a far data dall’8 gennaio 2022 e fino al 15 giugno 2022, introduce l’obbligo vaccinale contro il COVID-19, per tutti i cittadini italiani e per i cittadini di altri stati membri dell’Unione Europea residenti in Italia, che abbiano compiuto i 50 anni di età o che compiano 50 anni di età entro il 15 giugno 2022.

Inoltre, dal 15 febbraio 2022 tutti i lavoratori over 50 del settore pubblico e privato soggetti all’obbligo vaccinale devono possedere e sono tenuti ad esibire il Green Pass rafforzato per accedere al luogo di lavoro.

E’ compito del datore di lavoro effettuare tale verifica e nel caso i lavoratori soggetti all’obbligo vaccinale non siano in possesso di Green Pass rafforzato saranno considerati assenti ingiustificati senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del posto di lavoro fino alla presentazione del Green Pass rafforzato e comunque non oltre il 15 giugno 2022.

Nel caso di un lavoratore over 50 che effettui la prestazione in modalità “agile”, non deve necessariamente essere in possesso della Certificazione Verde COVID-19, anche se, naturalmente tale comportamento non è in linea con la ratio normativa e lo stesso rimane comunque normativamente obbligato alla vaccinazione. Si ricorda che non vi è però alcun diritto al lavoro agile per tali lavoratori. In questo caso il lavoro agile dovrebbe essere totalmente remotizzato senza la possibilità di accedere, neppure per riunioni di coordinamento o recupero materiali, ai luoghi di lavoro tradizionali per i quali sarà necessario il Green Pass rafforzato.

Per la Pubblica Amministrazione, nelle linee guida del 12 ottobre 2021 in materia di obbligo di possesso e di esibizione della Certificazione Verde COVID-19 da parte del personale, il Ministro della Pubblica Amministrazione ha vietato di adibire a lavoro agile i dipendenti sulla base del mancato possesso del Green Pass o dell’impossibilità di esibirlo.

Smart working e il beneficio del regime “impatriati”

L’Agenzia delle Entrate si è espressa con la risposta all’interpello n. 55 del 31 gennaio in merito alla possibilità di un lavoratore italiano che ha prestato la propria attività lavorativa all’estero e che, dopo aver spostato la residenza in Italia, concorda con il datore di lavoro estero di svolgere l’attività da remoto in modalità smart working, per le medesime attività svolte precedentemente all’estero, in Italia. 

Il dubbio interpretativo posto dal contribuente all’Agenzia delle Entrate riguarda l’applicabilità del regime degli impatriati, di cui all’art. 16 D.Lgs. 147/2015, in caso l’attività lavorativa venga svolta in modalità smart working, con collegamento remoto, dall’Italia per un datore di lavoro non residente in Italia.

Le vigenti regole sugli impatriati

Il regime degli impatriati è disciplinato dall’art. 16 D.Lgs. 147/2015 il cui testo è stato modificato ad opera dell’art. 5 DL 34/2019 conv. in L. 58/2019. L’attuale formulazione normativa del richiamato art. 16, c. 1, richiede, per poter beneficiare del regime di favore, che il lavoratore:

  • trasferisca la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 2 TUIR;
  • non sia stato residente in Italia nei 2 periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegni a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
  • svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

In presenza delle richiamate condizioni, il reddito di lavoro dipendente concorre alla formazione del reddito complessivo limitatamente:

  • al 30%, nel caso di trasferimento nelle regioni del centro nord; oppure
  • al 10%, nel caso di trasferimento nelle regioni del sud Italia.

In relazione alla normativa sugli impatriati, nella versione attualmente in vigore, l’Agenzia delle Entrate ha fornito dettagliati chiarimenti con la Circ. AE 28 dicembre 2020 n. 33/E, precisando che il regime trova applicazione anche in caso il rapporto di lavoro sia instaurato con un datore non residente in Italia. La richiamata prassi, tuttavia, nulla specifica in merito alla necessità, o meno, che il rapporto di lavoro sia nuovo, aspetto che invece per il personale in rientro dal distacco all’estero è determinante per l’accesso al regime di favore.

Datore non residente e regime impatriati

La risposta all’interpello, conferma che l’accesso al regime di favore, nell’attuale formulazione normativa del citato art. 16, c. 1, non richiede che l’attività sia svolta per un’impresa operante sul territorio dello Stato, pertanto sono meritevoli dell’agevolazione anche i lavoratori che si trasferiscono per svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti, in caso di lavoro autonomo o di impresa, siano stranieri non residenti.

Sulla base di tale interpretazione, viene confermato al dipendente che ha concordato con il proprio datore di lavoro non residente in Italia di lavorare da remoto, in modalità smart working, l’applicabilità del regime degli impatriati.

Consolidamento della posizione dell’Agenzia delle Entrate

L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate si va quindi consolidando, aggiungendosi alle conferme già contenute nelle risposte ai precedenti interpelli nei quali veniva ribadito il fatto che l’attività in smart working svolta sul territorio italiano sia prevalente rispetto all’attività svolta all’estero. Un dipendente in smart working per un datore di lavoro estero, infatti, probabilmente sarà tenuto ad effettuare trasferte presso la sede di lavoro del datore di lavoro estero; ciò non comporta l’esclusione dal regime, purché l’attività svolta in Italia sia superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno.

In relazione alla determinazione dei giorni di lavoro svolti in Italia, l’AdE ha confermato che nel computo dei 183 giorni rientrano non solo i giorni lavorativi ma anche le ferie, le festività, i riposi settimanali e altri giorni non lavorativi; mentre non possono essere computati i giorni di trasferta di durata superiore a 183 giorni, o il distacco all’estero, essendo l’attività lavorativa prestata fuori dal territorio dello Stato.

Modalità di fruizione dell’incentivo

Nel caso il datore di lavoro non residente non operi le ritenute fiscali sui redditi erogati al dipendente che lavora in Italia in modalità smart working, situazione molto probabile in quanto i datori di lavoro non residenti, privi di stabile organizzazione in Italia, non sono tenuti all’effettuazione delle ritenute, ma possono volontariamente operarle, il beneficio potrà essere applicato direttamente in dichiarazione dei redditi da parte del dipendente. In tal caso sono previsti specifici codici da riportare nella dichiarazione dei redditi.

Lo studio rimane a disposizione per ogni eventuale chiarimento

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