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Ai sensi dell’art 2087 cc, il datore di lavoro è obbligato ad adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei propri dipendenti. Tra le misure necessarie, ai sensi del d.lgs. 81/2008, vi sono quelle di obbligare il lavoratore ad effettuare le visite periodiche secondo le disposizioni date dal medico competente.

Può quindi succedere che il medico esprima un giudizio relativo alla mansione specifica: di idoneità, anche parziale, oppure di inidoneità totale temporanea o permanente. Nel caso in cui venga riscontrata la sopravvenuta inidoneità alla mansione del dipendente, il datore di lavoro, tenuto ad adempiere all’obbligo di sorveglianza sanitaria, si troverà di fronte a diverse possibili conseguenze che possano incidere anche sulla prosecuzione del rapporto di lavoro.

Le visite mediche, ai sensi dell’art 41 del d.lgs. 81/2008, per accertare l’idoneità alla mansione, possono avvenire in momenti diversi, e precisamente:

– nella fase preassuntiva, in cui il giudizio di idoneità è una condizione necessaria per la costituzione del rapporto di lavoro;

– in modo periodico, durante lo svolgimento del rapporto di lavoro per controllare o confermare l’idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa norma, viene stabilita di norma una volta l’anno.

– su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute.

– da visita medica precedente alla ripresa del lavoro a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore a 60 giorni continuativi, per verificare nuovamente l’idoneità alla mansione.

A seguito del giudizio rilasciato dal medico competente, al lavoratore è data facoltà di effettuare ricorso entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo all’organo di vigilanza territorialmente competente, che può disporre la conferma, la modifica o la cancellazione del giudizio stesso.

Il datore di lavoro è quindi tenuto ad attuare le misure indicate dal medico competente: in caso di giudizio di inidoneità alla mansione specifica, dovrà trovare modalità differenti di svolgimento della mansione (come il lavoro agile), o in alternativa adibire il lavoratore a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori, garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza (art 42 d.lgs. 81/2008).

Qualora non risulti possibile collocare il lavoratore ad altre mansioni all’interno dell’organizzazione aziendale, nell’ipotesi di accertata inidoneità alle mansioni temporanea, il datore di lavoro può sospenderlo momentaneamente dal lavoro e dalla retribuzione fino al termine dell’inabilità. In questo caso, secondo quanto stabilito da alcune pronunce giurisprudenziali, il datore di lavoro non sarà tenuto a corrispondere la retribuzione, poiché in assenza di prestazione lavorativa per cause non imputabili al datore di lavoro medesimo si può ritenere insussistente anche l’obbligo di pagamento della stessa.  

Nel caso invece di inabilità permanente, sarà comunque necessario valutare se il lavoratore possa essere adibito ad altre attività, equivalenti o non; se non si ravvedono altre mansioni cui collocare il lavoratore, sarà necessario procedere alla cessazione del rapporto di lavoro, ipotesi che deriva solo nel caso in cui non siano rinvenibili alternative al licenziamento.

A questo proposito, si richiama l’ordinanza n. 9937 del 12/04/2024, in cui la Cassazione afferma che in caso di licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica, qualora il datore di lavoro non adempia all’obbligo di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni, si concretizza l’ipotesi di licenziamento con mancanza di giustificazione e con conseguente obbligo di reintegra.

Nel caso di specie, il lavoratore ha impugnato il licenziamento intimatogli per sopraggiunta inidoneità fisica alla mansione; la società datrice, sulla quale grava l’onere di provare la sussistenza delle giustificazioni del recesso, non è stata in grado di dimostrare l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni, anche inferiori, compatibili con il suo stato di salute. Per questo motivo la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dalla società, confermando l’illegittimità del licenziamento e l’obbligo di reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato.

Il licenziamento viene comunque considerato come l’extrema ratio a cui ricorrere laddove sopraggiunga l’inidoneità alla mansione, sia interesse del datore concludere il rapporto di lavoro. Tuttavia, tale ipotesi deve essere attentamente valutata per l’attenzione che viene posta dal legislatore alla tutela della salute della persona, anche nella possibilità di mantenere il rapporto di lavoro valutando in modo adeguato ogni ipotesi possibile.

Lo studio rimane a disposizione per qualsiasi eventuale chiarimento

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