Newsletter 14 04 23

Vogliamo iniziare, con questa prima pubblicazione, una rubrica sulle case history di studio per condividere un’esperienza da raccontare a fini dimostrativi, per illustrare il modo con cui un’impresa può far fronte a un determinato problema dal punto di vista della gestione da seguire o delle strategie da adottare.

Il caso proposto riguarda un lavoratore che è stato giudicato idoneo alla mansione specifica, con limitazioni.

In particolare, in occasione della visita avvenuta a gennaio del 2022, il medico competente rilevava una serie di limitazioni, per le quali stabiliva una nuova visita entro il semestre successivo, che venne effettuata a luglio del 2022 e poi ancora, a fine settembre e a fine novembre dello stesso anno. Soltanto in quell’occasione il medico aziendale ha confermato le limitazioni già accertate e la definitiva inidoneità all’uso del carrello elevatore, programmando la successiva visita a distanza di un anno.

La direzione aziendale, a quel punto, si pose il problema se impiegare il lavoratore, esponendolo al rischio di arrecare ulteriore pregiudizio alla sua condizione di salute dovendolo assegnare in attività esclusivamente manuali nonostante fosse stato assunto come impiegato tecnico. L’impresa aveva un consistente numero di dipendenti tutti operativi ed il lavoratore in questione gestiva personalmente le funzioni di coordinamento dei processi intervenendo su tutte le fasi operative.

Nell’incertezza sopravvenuta, la direzione decise di sospendere temporaneamente il proprio dipendente e presentò ricorso avverso il giudizio del medico competente all’organo di vigilanza:

se lo SPISAL avesse confermato il giudizio del medico competente, allora l’azienda avrebbe valutato il licenziamento del lavoratore per sopraggiunta impossibilità della prestazione lavorativa, non essendo possibile ricollocare il dipendente anche a mansioni inferiori senza esporlo ad un rischio specifico; ovvero, in caso di modifica del giudizio a favore del lavoratore o di sua revoca, il dipendente avrebbe ripreso la sua attività senza il timore di violare le disposizioni in materia di salute e sicurezza.

Ciò che provocò scalpore fu la decisione dell’azienda di sospendere anche la retribuzione: il datore di lavoro decise di adottare questa impopolare soluzione in pendenza del termine per proporre ricorso nei confronti del giudizio del medico competente, facendo proprio un orientamento della giurisprudenza che aveva considerato corretta tale scelta.

Ovviamente la scelta della direzione fu fortemente contestata dal lavoratore e dal sindacato al quale si rivolse. Anche l’ambiente interno all’azienda manifestò perplessità e dubbi sulla decisione e, in breve, il clima aziendale ne risentì.

Tuttavia, nel corso del confronto con il sindacato, la direzione del personale espose le proprie ragioni con fermezza dichiarando che la sospensione era a tutela della salute del dipendente, che anche l’azienda subiva un danno provocato dal mancato conferimento della prestazione non imputabile al datore di lavoro e che, in caso di ripresa dell’attività lavorativa, al dipendente sarebbe stata ripristinata la sua retribuzione fin dall’inizio della sospensione; ma non si poteva escludere, a seguito del riesame del giudizio da parte dello SPISAL, una situazione che avrebbe potuto provocare l’interdizione al lavoro.

Fu così che, dopo circa due mesi dalla sospensione ed in attesa della visita medica dello SPISAL, costruendo un percorso di persuasione che non escludeva un’ipotesi di licenziamento incentivato, il lavoratore si convinse di accettare la risoluzione del rapporto di lavoro, ricevendo un’indennità risarcitoria della perdita del posto di lavoro, concordata tra le parti. 

A seguito di questa soluzione, l’azienda informò lo SPISAL che era stato raggiunto un accordo risolutivo e che, a quel punto, non era necessario proseguire con la procedura del ricorso che, pertanto, venne abbandonato.

Il sindacato, commentando la vicenda, ammise che per quanto spregiudicata, la decisione dell’azienda di sospendere il rapporto di lavoro e la retribuzione, ha costituito il presupposto che ha condotto il lavoratore a decidere per la cessazione del rapporto di lavoro.

Tale disegno era stato effettivamente impostato fin dall’origine per arrivare a questa conclusione.

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