10 09 2021

Il blocco dei licenziamenti dovuto all’emergenza epidemiologica, oggetto di una serie di interventi normativi, dal decreto 18/2020 (cura italia) fino al decreto 73/2021 (sostegni bis) convertito nella Legge 106/2021, è venuto parzialmente meno a far data dal 1° luglio 2021 (in estrema sintesi per le aziende del settore tessile, abbigliamento e pelli per le quali il divieto di licenziamento è esteso fino alla data del 31 ottobre 2021, così come per le aziende che hanno diritto all’assegno ordinario e alla cassa in deroga e alle imprese del settore turismo, stabilimenti balneari e commercio  –  per queste ultime fino al 31 dicembre 2021 in caso di richiesta di esonero dal versamento dei contributi previdenziali -).

Per le imprese industriali e manifatturiere che ricorrano a cassa ordinaria o straordinaria nel periodo 1° luglio – 31 dicembre 2021, non essendo intervenuti chiarimenti da parte del legislatore sulla corretta interpretazione della norma di legge, rimane il dubbio sul fatto che il blocco dei licenziamenti permanga solo per il periodo di effettiva fruizione dell’ammortizzatore sociale, per il quale non è richiesto il versamento del contributo addizionale, oppure se sia esteso al 31 dicembre 2021, così come è stabilito per le imprese interessate da un calo di fatturato di almeno il 50% nel primo semestre 2021 rispetto all’analogo periodo dell’anno 2019 che ricorrono al contratto di solidarietà difensivo.

In qualsiasi caso, alla luce della riacquistata facoltà di procedere al licenziamento del lavoratore nel rispetto dell’ordinaria normativa da parte del datore di lavoro, pare opportuno ricordare le regole da rispettare in caso di licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” ovvero, ai sensi dell’articolo 3, della Legge 604/1966, “per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Per poter procedere al licenziamento di un proprio collaboratore per ragioni oggettive è necessario che:

  • siano effettive e concrete le esigenze aziendali che determinano il recesso dal contratto di lavoro;
  • sussista un rapporto diretto tra le esigenze aziendali e la soppressione di uno specifico posto di lavoro;
  • non sia rinvenibile nel contesto aziendale la possibilità di ricollocare il dipendente in altra mansione compatibile con il livello di inquadramento del lavoratore stesso o anche inferiore se ciò permetta di evitare il licenziamento (cd. obbligo di repechage).

L’evoluzione giurisprudenziale sembra aver superato il concetto che legava la legittimità del licenziamento per ragioni economiche a situazioni di crisi contingente dell’impresa, ravvisandone la “ragionevolezza” anche in quei casi in cui l’imprenditore persegua l’obiettivo di riorganizzazione, razionalizzazione dei costi e miglioramento dei profitti, sempre che tale obiettivo non risulti pretestuoso e finalizzato alla semplice soppressione del posto di lavoro.

Rientrano nell’alveo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, anche se non indotti da motivazioni economiche, il licenziamento del lavoratore per “impossibilità sopravvenuta della prestazione” (inidoneità del lavoratore per motivi di salute allo svolgimento della mansione cui è adibito) e per “superamento del periodo di comporto” (periodo generalmente stabilito dai contratti collettivi durante il quale il lavoratore assente per malattia o infortunio ha diritto alla conservazione del posto di lavoro).

Altra questione rilevante che si pone nel caso di necessità datoriale di ricorso al licenziamento individuale (si entra nella fattispecie del licenziamento collettivo quando il numero di lavoratori licenziati nell’arco di 120 giorni è pari o superiore a cinque) è quella della scelta tra lavoratori impiegati in livelli e posizioni equivalenti.

L’applicazione dei principi generali di correttezza e buona fede in materia di contratti trova concretezza in ambito lavoristico in riferimento all’individuazione del lavoratore da licenziare, attraverso l’applicazione dei criteri di scelta dettati dall’articolo 5, della Legge 223/1991 (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative).

L’altro elemento essenziale cui prestare la massima attenzione nel caso di comunicazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo è il rispetto delle modalità procedurali, diverse a seconda che il datore di lavoro occupi un numero di lavoratori computabili superiore o meno ai 15 dipendenti e che il licenziamento interessi lavoratori in forza in epoca precedente o successiva alla data del 7 marzo 2015.

Nel caso di datore di  lavoro assoggettato alla disciplina di cui all’articolo 18, della Legge 300/1970 (più di 15 dipendenti nell’ambito della stessa unità produttiva o dello stesso comune, più di 60 dipendenti nell’intero territorio nazionale) che intenda licenziare un dipendente assunto prima del 7 marzo 2015 è obbligatoria l’attivazione della “procedura di conciliazione” di cui all’articolo 7, della Legge 604/1966  avanti alla commissione di conciliazione presso l’ispettorato territoriale del lavoro.

Nel caso in cui a procedere con il licenziamento sia un datore di lavoro con organico non superiore ai 15 dipendenti ovvero che si accinga a licenziare un lavoratore assunto in epoca successiva alla data del 7 marzo 2015 la procedura di cui sopra non dovrà essere seguita.

La comunicazione di licenziamento, contenente i motivi e il periodo di preavviso, in questo caso dovrà essere inviata (raccomandata a/r) o consegnata brevi manu al lavoratore e il licenziamento produrrà i suoi effetti dal momento in cui la comunicazione giunge a conoscenza del lavoratore.

E’ doveroso ricordare come in quest’ultima ipotesi sia consentito al datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 6, del decreto legislativo 23/2015 ed entro 60 giorni dalla data del licenziamento, proporre al lavoratore un’offerta di conciliazione  in sede sindacale o presso una commissione di certificazione che preveda la liquidazione di un importo pari a una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio e comunque non inferiore a tre e massimo 27 per le imprese con più di 15 dipendenti e minimo 1,5 mensilità e massimo 6 per le aziende fino a 15 dipendenti.

L’accettazione dell’importo da parte del lavoratore, erogabile solo a mezzo di assegno circolare, comporta la risoluzione del rapporto di lavoro e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora già proposta dal lavoratore.

Per quanto riguarda le tutele in caso di licenziamento dichiarato illegittimo è noto che dal 7 marzo 2015, con l’entrata in vigore del decreto legislativo 23/2015, la tutela cd. reale  (reintegrazione nel posto di lavoro) trova applicazione solo in ipotesi residuali (licenziamento discriminatorio o ritorsivo, licenziamento nullo per espressa previsione normativa come nei casi di licenziamento orale ovvero intimato nel periodo di maternità o per matrimonio) risultando sostituita da una tutela indennitaria commisurata all’anzianità di servizio del lavoratore (sul punto la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il meccanismo del calcolo dell’indennità calcolata sulla base solo criterio dell’anzianità di servizio, riconsegnando al giudice la libera valutazione della sua entità, da effettuare anche in considerazione del numero di dipendenti occupati, della dimensione aziendale, del comportamento e delle condizioni delle parti) in misura comunque non inferiore a sei mensilità e non superiore a 36 per i datori di lavoro con organico superiore ai 15 dipendenti  e in misura non inferiore a tre mensilità e non superiore a sei per i datori di lavoro fino a 15 dipendenti.

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