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Un tema spesso trattato dalla giurisprudenza è quello della computabilità, nel periodo di comporto, delle assenze per malattia riconducibili al lavoratore disabile.

Il periodo di comporto viene definito come quel periodo massimo di non lavoro dovuto a malattia o infortunio, nel quale il datore di lavoro ha il divieto di procedere al licenziamento: come stabilito dalla disposizione contenuta nell’art 2110 del codice civile, il datore di lavoro potrà recedere dal contratto solamente decorso il periodo stabilito dalla legge. Nella pratica, il periodo massimo di malattia o infortunio è disciplinato dai contratti collettivi nazionali che ne definiscono la relativa durata.

I contratti collettivi distinguono in via generale due diverse ipotesi di comporto: il comporto secco, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di un’unica malattia, o il comporto per sommatoria, ovvero il termine di conservazione del posto in caso di più malattie. Possono inoltre prevedere eventuali patologie escluse dal periodo di comporto, in relazione alla loro natura o gravità (come, per esempio, le malattie di natura oncologica).

L’importanza del calcolo per la verifica del superamento del periodo di comporto è fondamentale: qualora il giudice di merito accerti il mancato superamento del periodo di comporto, occorre disporre la reintegra nel posto di lavoro, in quanto si tratta di un recesso adottato in violazione di una norma di legge.

Oggetto di ampio dibattito in giurisprudenza è invece il tema del licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore con disabilità, poiché il rischio per il datore di lavoro è quello di incorrere nella nullità del licenziamento per discriminazione indiretta. Sul punto, infatti, manca una disciplina normativa e/o contrattuale che integri la portata applicativa dell’art 2110 cc, in quanto nell’ordinamento giuridico italiano non rileva nessuna disciplina che contempli la necessità di disciplinare il periodo di comporto in modo differente per i lavoratori con o senza disabilità. Sul punto sono state pronunciate diverse sentenze giurisprudenziali contrastanti, alla luce anche della normativa prevista a livello europeo a garanzia del principio della parità di trattamento (Direttiva UE 2000/78 recepita in Italia con D.Lgs. 216/2003), che sottolinea l’attenzione che deve essere posta nei confronti di quei lavoratori che, di fronte a condizioni fisiche o patologiche di disabilità, finiscono per essere predisposti a maggiori assenze dal lavoro per malattia a causa di lunghi periodi di cure.

Il lavoratore con una disabilità tale da determinare continue assenze dal lavoro può essere legittimamente licenziato per superamento del periodo di comporto solamente se il datore di lavoro dimostra di aver adottato tutte le misure tali da non incorrere in forme di discriminazione indiretta, ovvero connessa allo stato patologico in cui versa il lavoratore dipendente. I lavoratori invalidi infatti risultano maggiormente esposti al rischio di malattia a causa della loro condizione di disabilità, con la conseguenza che i giorni di assenza accumulati potrebbero essere maggiori rispetto a quelli di qualsiasi altro lavoratore.

L’orientamento giurisprudenziale affermatosi tramite diverse sentenze è quello che il calcolo del periodo di comporto non possa essere uguale per tutti i lavoratori, dovendo quindi riconoscere un comporto più lungo per il lavoratore disabile proprio per evitare il concetto di discriminazione indiretta che può derivare a suo danno.  Non rileva quindi a tal fine la conoscenza effettiva da parte del datore di lavoro né dello stato di disabilità del lavoratore né la riconducibilità dell’assenza per malattia alla patologia invalidante; l’impossibilità del datore di lavoro di conoscere la natura degli eventi di malattia quindi, non esclude di per sé la discriminazione, ma può costituire un elemento di prova per desumere l’insussistenza di un trattamento discriminatorio. Ed è questo l’orientamento che emerge da una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 11731 del 2 maggio 2024), che afferma la necessità da parte del datore di lavoro, una volta che venga a conoscenza della condizione effettiva di handicap, di attivarsi per approfondire le ragioni delle assenze per malattia eventualmente derivanti dalla situazione di disabilità, mentre incombe sul lavoratore l’obbligo di fornire elementi fattuali che rendano evidente l’esistenza della discriminazione.

Nella prassi giurisprudenziale sono emerse diverse situazioni che possono aiutare il datore di lavoro a prevenire situazioni di discriminazione indiretta, come la necessità di informare prontamente il lavoratore interessato relativamente al periodo di comporto residuo, oppure utilizzare la contrattazione aziendale per la modifica della disciplina sulla malattia riconoscendo un comporto più lungo per i lavoratori disabili, oppure evitare l’attribuzione di mansioni usuranti che possano compromettere ulteriormente la sua salute: tutte misure utili a superare la disparità di trattamento. Infatti, il comportamento che dovrebbe tenere il datore di lavoro non riguarda solo il divieto di comportamenti discriminatori, ma piuttosto l’adozione di soluzioni ragionevoli al fine di favorire gli interessi del lavoratore disabile.

A tale riguardo emerge una sentenza del Tribunale di Vicenza (del 26 aprile 2022), in cui un’operatrice socio-sanitaria con una percentuale di invalidità del 35% veniva licenziata per superamento del periodo di comporto, nel quale erano stati conteggiati anche i giorni di assenza derivanti dalla sua invalidità. Il giudice di merito aveva in questo caso ritenuto che la tesi sostenuta dalla lavoratrice sulla natura discriminatoria del licenziamento per ragioni di disabilità non fosse condivisibile, in quanto nel caso concreto il giudice aveva rilevato che il datore di lavoro era stato in grado di garantire numerosi accomodamenti ragionevoli nei confronti della lavoratrice, bilanciando correttamente gli interessi di entrambe le parti, aggiungendo inoltre che il CCNL in questione prevede già di per se un periodo di comporto rilevante.

In attesa di un intervento del legislatore sul tema, si è creata nel tempo una situazione di incertezza, configurando in tali ipotesi probabili impugnazioni del licenziamento con il rischio, per il datore di lavoro, della nullità dello stesso e il riconoscimento per il lavoratore del diritto alla reintegra sul posto di lavoro. 

Lo studio rimane a disposizione per qualsiasi eventuale chiarimento

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