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La CGIL ha avviato una raccolta di firme per sostenere quattro quesiti referendari per tutelare il lavoro e la salute dei lavoratori.

I quesiti proposti riguardano:

  1. L’abrogazione delle norme che impediscono il rientro al lavoro in caso di licenziamenti illegittimi per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015;
  2. L’abrogazione delle norme che facilitano i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese
  3. L’abrogazione delle norme che hanno liberalizzato l’utilizzo del lavoro a termine
  4. L’abrogazione delle norme che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante.

I quesiti hanno, come obiettivo, di cancellare le specifiche disposizioni normative dalle quali dipende la disciplina che viene avversata dal più grande sindacato italiano. Con questo approfondimento tratteremo il primo dei quesiti, per meglio comprendere di che cosa si discute.

La CGIL propone l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23 che reca il seguente titolo “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”.

A causa di un pretestuoso malinteso, per lo più incentrato su un equivoco diffusamente cavalcato dai mezzi di comunicazione, si vuole far coincidere il Jobs Act con la norma che avrebbe abrogato l’articolo 18, che disponeva la reintegrazione del lavoratore licenziato illegittimamente e la cui disciplina è rinviata oggi, per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, al decreto legislativo appena richiamato.

In realtà il Jobs Act è un compendio di norme che trattano vari aspetti del diritto del lavoro, che riformano o introducono tutele aggiornate a vantaggio dei lavoratori. Le norme della riforma, in ordine cronologico, sono le seguenti:

Per meglio comprendere ciò di cui si discute il Jobs Act è costituito dall’insieme dei provvedimenti adottati dal governo in attuazione di una legge delega i cui principi fondamentali riguardano, oltre il tema dei licenziamenti, anche la riforma sulla disoccupazione, estendendo a due anni per tutti i lavoratori la Naspi, e poi ancora le politiche attive, un controllo più rigoroso sulle false partite IVA, gli ammortizzatori sociali, il sostegno alla maternità ed altri ancora.

Il referendum della CGIL abrogherebbe dunque uno solo dei provvedimenti del Jobs Act e tuttavia, questo tipo di intervento non avrebbe una significativa incidenza sui licenziamenti illegittimi, in quanto, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 194 del 2018, ha voluto restituire al giudice quella discrezionalità valutativa di cui egli era in possesso prima del “Jobs Act”, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1 del d.lgs 23/2015, limitatamente alle parole «di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio» stabilendo che “nel rispetto dei limiti, minimo e massimo (attualmente da sei a trentasei mensilità, dopo la modifica intervenuta per effetto del dl 12 luglio 2018 n. 87) dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, il giudice terrà conto innanzitutto dell’anzianità di servizio nonché degli altri criteri, desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti: numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti.

Con questa modifica, il referendum della CGIL sull’abrogazione del decreto sui contratti a tutele crescenti si rivela sostanzialmente superfluo in quanto, nei fatti, ha già perso l’automatismo che determinava l’importo dell’indennità dovuta ai lavoratori licenziati illegittimamente solo sulla base della loro anzianità di servizio.

Come dice Tommaso Nannicini, professore di economia alla Bocconi ed estensore del Jobs Act, l’abrogazione del “contratto a tutele crescenti” comporta che si tornerà alla riforma del governo Monti del 2012 che aveva già ridotto l’articolo 18 all’ombra di sé stesso.

“Abolire il precariato per referendum è un po’ come abolire la povertà per decreto”.

Lo Studio resta a disposizione.

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