Nell’epoca moderna in cui l’economia è sviluppata su scala globale, le imprese tendono ad espandere la propria attività verso i mercati esteri, attuando strategie di plurilocalizzazione, oppure organizzando una maggiore mobilità dei lavoratori a livello internazionale.
La mobilità internazionale dei lavoratori, si configura come “distacco transnazionale” ed è regolamentata da un complesso sistema di leggi, nazionali ed internazionali, necessarie per contrastare il fenomeno del dumping salariale, cioè quella situazione in cui le imprese mirano ad ottenere un maggior profitto attraverso l’utilizzo di manodopera proveniente da paesi esteri dove il costo del lavoro è inferiore.
Le leggi nazionali e internazionali sono strutturate anche per garantire una tutela minima dei lavoratori nei paesi esteri nei quali prestano la propria attività lavorativa.
Il dumping salariale, elemento che crea maggior preoccupazione per gli stati europei essendo previsto un principio di libera circolazione tra i paesi membri, costituisce una violazione delle norme sulla mobilità dei lavoratori e nuoce all’economia dei paesi.
Il distacco transnazionale si può realizzare nei seguenti casi:
- Invio di lavoratori in un paese dell’Unione Europea;
- Invio dei lavoratori in un paese “terzo” extra Ue;
- Utilizzo di lavoratori provenienti da paesi dell’Unione Europea o da paesi “terzi” extra Ue.
Distacco transnazionale di lavoratori inviati un paese Ue
La normativa di riferimento è contenuta nelle direttive 96/71/CE e 2018/957, le quali specificano che le particolari disposizioni sulla mobilità dei lavoratori in ambito Ue debbano essere applicate ogni qualvolta l’impresa:
- Distacchi un lavoratore, per contro proprio e sotto la propria direzione, nel territorio di uno stato membro, nell’ambito di un contratto concluso tra l’impresa che lo invia e il destinatario della prestazione di servizi che opera in tale stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia;
- Distacchi un lavoratore nel territorio di uno Stato membro, in uno stabilimento o presso un’impresa appartenente allo stesso gruppo, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia;
- Si tratti di un’impresa di somministrazione che distacca un lavoratore presso un’impresa utilizzatrice avente la sede o un centro di attività in uno Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro fra il lavoratore e l’impresa di lavoro temporaneo o l’impresa che lo fornisce temporaneamente.
Le direttive citate stabiliscono che si tratta di distacco transnazionale nei casi in cui il lavoratore, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente (la definizione di distacco transnazionale in ambito europeo comprende sia la nozione del distacco come regolamentato dall’ordinamento italiano, sia la trasferta, intesa come tale dal nostro sistema giuridico).
Le direttive europee richiedono un provvedimento di recepimento da parte di ogni stato membro, pertanto, ogni paese ha provveduto attraverso l’emanazione di una legge specifica, atta a disciplinare gli adempimenti e le condizioni minime che ogni impresa deve rispettare in caso di ingresso nel territorio dello stato di destinazione.
Il mancato rispetto delle disposizioni interne comporta l’applicazione di impianti sanzionatori molto severi, con provvedimenti che variano da sanzioni economiche molto pesanti, fino ad arrivare fino all’inibizione dell’attività commerciale con il paese nel quale i lavoratori sono distaccati.
L’Italia ha recepito le direttive europee attraverso l’emanazione dei decreti legislativi n. 136/2016 e n. 122/2020, ai quali i paesi esteri che distaccano lavoratori in Italia devono attenersi.
Occorre prestare molta attenzione anche ai c.d. “viaggi di lavoro”, nell’ambito dei quali sono compresi, a titolo di esempio, l’attività presso fiere, la partecipazione a convegni o corsi di formazione, nonché le visite commerciali per la definizione dei relativi accordi commerciali, ecc., che non rientrano nell’ambito del distacco transnazionale ma che richiedono ugualmente l’osservanza di specifici adempimenti.
Distacco transnazionale di lavoratori inviati un paese “terzo” extra Ue
Il distacco dei lavoratori nei paesi extra Ue può essere ancora più complessa dato che in questa tipologia di distacco sono coinvolte la legislazione dello Stato distaccante e la legislazione dello Stato ospitante.
Occorre innanzitutto verificare se sono presenti eventuali accordi internazionali (convenzioni bilaterali) sottoscritti tra l’Italia e il paese di destinazione, attraverso i quali vengono definite regole retributive, previdenziali ed assicurative.
In base alla durata del distacco, è necessario verificare anche l’aspetto fiscale, in quanto il lavoratore potrebbe essere soggetto a particolari modalità di gestione degli obblighi verso l’amministrazione finanziaria, sia del paese di provenienza che del paese di destinazione.
Premesso ciò, la prima verifica riguarda la normativa sull’immigrazione del paese di destinazione, al fine di individuare quali permessi (ed entro quali tempistiche) devono essere richiesti per poter effettuare l’ingresso nel paese interessato.
Infine, gli adempimenti amministrativi: è necessario verificare le procedure richieste sotto il profilo previdenziale e assicurativo, nonché la corretta applicazione del diritto del lavoro del paese di destinazione.
Distacco di lavoratori in Italia provenienti da paesi extra Ue
Le norme di legge di riferimento per la gestione dei distacchi di lavoratori “extra Ue” in Italia sono contenute nel Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998) e il d.lgs. 136/2016.
Il Testo Unico sull’immigrazione stabilisce quali sono i casi in cui i lavoratori extra comunitari possono fare ingresso in Italia per svolgere attività lavorativa.
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