Il trattamento di fine rapporto consiste in una prestazione economica che viene erogata ai lavoratori dipendenti in occasione della cessazione del rapporto (compenso differito).
La quantificazione del TFR annuo avviene sulla base di quanto stabilito all’art. 2120 del Codice civile, cioè dividendo il reddito annuo per 13,5; la quota così calcolata deve essere proporzionalmente ridotta per i mesi di lavoro, computandosi come mese intero le frazioni uguali o superiori a 15 giorni.
Il calcolo viene completato dalla rivalutazione che si effettua ogni anno; infatti, al 31 dicembre il TFR accantonato viene incrementato con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo accertato dall’Istat (inflazione), rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
La disposizione esprime in modo chiaro il fatto per cui, in presenza di una bassa inflazione, l’incremento del trattamento di fine rapporto dei lavoratori rimarrà modesto, ma in caso di inflazione elevata la maturazione del TFR risulterà essere più consistente.
Negli ultimi anni siamo stati abituati ad un’inflazione pari all’uno/due per cento, ma in quest’ultimo anno i valori dell’inflazione sono saliti vertiginosamente.
Nel mese di dicembre il tasso di inflazione da applicare alla rivalutazione del TFR è stato pari al 9,974576% e ciò significa che il fondo TFR accantonato avrà un aumento significativo, con conseguente aumento del costo del personale.
Pertanto, nell’attività di pianificazione economica che le imprese svolgono per determinare le proprie strategie, oltre a dover considerare l’aumento del costo legato al TFR per il 2022, dovranno tener conto che tale costo avrà un aumento anche negli anni successivi, in quanto la base di calcolo per le future rivalutazioni aumenterà progressivamente.
Lo studio rimane a disposizione