19 11 2021

Al contrario di quanto è stato ipotizzato alla vigilia dell’introduzione del Green pass nei luoghi di lavoro, è possibile affermare che tale obbligo sembra non aver creato gravi disagi e problemi organizzativi che, per la grande maggioranza delle imprese, sono stati solo marginali.

A poco più di un mese dalla sua entrata in vigore, grazie alla conversione in Legge del DL 127/2021, sono state introdotte dal legislatore alcune novità, che intervengono sulla modalità di effettuazione dei controlli nei luoghi di lavoro e definiscono in modo chiaro alcuni aspetti organizzativi specifici. Tuttavia, nonostante l’intervento del legislatore, rimangono alcuni aspetti da chiarire in ambito HR, come ad esempio la malattia e lo smart working in caso di mancato possesso del Green pass da parte del lavoratore.

Entrando nel merito della legge di conversione, approvata in parlamento il 17/11/2021, l’art. 3 c. 5 prevede la possibilità da parte del lavoratore di poter chiedere di consegnare al datore di lavoro copia del Green pass, in modo tale da poter evitare di essere controllato durante il periodo di validità. Su questo passaggio è intervenuto il Garante della privacy che, con una segnalazione nei confronti del Parlamento (atto non autoritativo) nella quale si afferma che il tema legato al trattamento dei dati personali meriterebbe un ulteriore approfondimento, avverte il legislatore sul fatto che la conservazione dei certificati imporrebbe l’adozione, da parte del datore di lavoro, di misure tecniche e organizzative adeguate al grado di rischio connesso al trattamento, con un non trascurabile incremento degli oneri (anche per la finanza pubblica, relativamente al settore pubblico). In sostanza, il Garante sottolinea come il datore di lavoro, nella conservazione dei Green pass, debba adottare misure tecniche e organizzative adeguate al rischio legato al trattamento di questi dati, quindi modalità di conservazione di maggiore sicurezza rispetto all’ordinario.

Abbiamo poi l’art. 3 c. 7 del “nuovo testo DL 127/2021” il quale modifica la norma che consentiva alle imprese con meno di 15 dipendenti di poter sostituire il lavoratore assente ingiustificato: si amplia la possibilità di proroga/rinnovo del contratto a tempo determinato prevedendo di poterlo riproporre più volte (non una sola com’era precedentemente), con una durata di 10 giorni lavorativi (non di calendario). Nel momento in cui il lavoratore titolare di contratto a tempo indeterminato entrasse in possesso del Green pass, questo rimarrebbe assente ingiustificato fino allo scadere del contratto a tempo determinato del lavoratore in sostituzione.

La persona invece, alla quale scadesse il certificato verde durante l’orario di lavoro giornaliero, potrà rimanere in servizio fino al termine dell’orario medesimo, provvedendo successivamente all’istanza di rinnovo (nuovo art. 3 bis).

Viene infine previsto che i lavoratori somministrati vengano sottoposti alla verifica di possesso del Green pass dall’azienda utilizzatrice, rimanendo in capo all’agenzia per il lavoro l’obbligo di informativa circa gli obblighi legati al possesso.

Pare quindi, volendo fare una sintesi, che alla più che soddisfacente gestione nei luoghi di lavoro si aggiungano norme di buon senso già patrimonio argomentativo di numerosi commentatori, rimanendo invece aperte alcune questioni sul lato privacy; è apprezzabile la scelta dell’Autorità Garante di intervenire con atto consultivo, meno apprezzabile il fatto che si concedano spazi a coloro che vorranno usare l’arma del diritto per innalzare l’aurea della privacy a fini impugnativi.

Nell’ambito di alcuni aspetti che invece rimangono da chiarire e che sono ancora al centro della discussione delle funzioni HR, possiamo citare l’ormai inflazionato smart working, con i limiti alla sua applicazione in relazione al Green pass. Partendo dalle certezze, come noto, il lavoratore non può pretendere, con riferimento alla sua applicazione, un automatico assenso da parte del datore di lavoro, il quale conserva il potere di decidere se autorizzare lo svolgimento dell’attività lavorativa in questa modalità oppure no. Stante quanto, è unanimemente affermato come la modalità di espletamento della prestazione a distanza non può essere utilizzata per eludere l’obbligo di possesso del “Certificato verde”. Nel caso poi l’azienda ritenesse di non poter accettare una prestazione esclusivamente a distanza e recedesse dall’accordo di SW, al lavoratore non rimarrebbe che essere considerato assente ingiustificato fino al termine dello stato di emergenza ovvero fino al possesso di titolo idoneo all’ingresso nei luoghi di lavoro.

Per quanto riguarda invece l’insorgere di uno stato di malattia, nulla pare possibile eccepire per chi si fosse trovato in tale “status” prima del 15 ottobre. Diversamente, chi abbia maturato una condizione di malattia dopo aver comunicato l’assenza di Green pass all’azienda ovvero successivamente all’instaurarsi di un’assenza giustificata, non ha diritto alla relativa indennità; questo a fronte del fatto che chi è in malattia si presuppone essere momentaneamente inidoneo a prestare l’attività lavorativa, ciò che non sussiste per chi non ha il Green pass.

Infatti, circa il rapporto tra l’istituto della malattia, il possesso o meno del Green pass e la modalità di svolgimento della mansione vediamo che coloro i quali, prima del 15 ottobre, fossero stati autorizzati all’espletamento dell’attività lavorativa in forma ibrida e non volessero munirsi di Green pass, possono in teoria svolgere l’attività lavorativa a distanza ma non quella in presenza. Tale situazione porta il soggetto ad essere considerato assente ingiustificato nei giorni/ore di mancata prestazione e ad avere la retribuzione/istituti diretti ed indiretti maturati proporzionalmente alle ore effettivamente prestate.

Infine, in merito al presunto onere in capo al datore circa il pagamento del “tampone”, l’ordinanza del TAR 5705 del 20 ottobre ha chiarito, qualora ce ne fosse stato bisogno, che non essendo un dispositivo di protezione individuale (DPI) non costituisce onere in capo al datore di lavoro privato. Conseguentemente, eventuali ritardi o disagi, e conseguenti assenze dal lavoro, non costituiscono la fattispecie di permessi retribuiti.

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