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Con la presente news si prende in considerazione una consuetudine che avviene in prossimità della costituzione di un rapporto di lavoro ma che può celare qualche insidia:

All’atto della selezione di un candidato a cui fare una proposta di assunzione, il datore di lavoro procede con l’instaurazione del rapporto di lavoro attraverso la stipulazione del contratto individuale; accade però che, prima della conclusione vera e propria del contratto, lo stesso sia preceduto da una lettera di impegno ad assumere, che ha la funzione di contratto preliminare. Rappresenta quindi un vero e proprio negozio giuridico bilaterale, cioè un contratto che impegna entrambi i contraenti a concludere in un tempo successivo e predeterminato un nuovo contratto, quello di assunzione.

Come ogni altro tipo di contratto, anche per questo caso le parti, nello svolgimento delle trattative e nella stipulazione del contratto, devono comportarsi secondo i principi di correttezza e buona fede, in modo che sia tutelato l’interesse dei contraenti.

I problemi infatti possono sorgere qualora uno dei due soggetti decida di non voler rispettare l’impegno all’assunzione: se le trattative tra le parti sono giunte ad un punto tale da giustificare oggettivamente la conclusione del contratto e una delle due, senza un giustificato motivo, decide di non rispettare le condizioni pattuite eludendo le ragionevoli aspettative dell’altra, si ritiene integrata la responsabilità precontrattuale (in questo senso si esprime anche la sentenza della Cassazione n°1051/2012).

La parte lesa ha quindi due possibilità:

– chiedere al giudice una sentenza che produca gli stessi effetti che avrebbe dovuto produrre il contratto che l’altra parte non ha voluto concludere;

– chiedere al giudice il risarcimento del danno subito a causa dell’inadempienza, quantificandone l’importo con criterio equitativo.

Quindi, nel caso in cui sia il datore di lavoro ad aver unilateralmente deciso di non rispettare l’impegno ad assumere, il lavoratore ha il diritto alternativo di pretendere che sia emessa una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto (a condizione che la lettera d’impegno contenga tutti gli elementi essenziali del contratto di lavoro), oppure la risoluzione del contratto, fatto salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno. Se invece è il lavoratore a decidere di non rispettare il proprio impegno all’assunzione, sarà tenuto a sua volta a risarcire il danno subito dal datore di lavoro.

Può essere che il risarcimento del danno sia stabilito nel contratto medesimo nel caso in cui sia stata prevista una penale: se questa è presente il lavoratore è tenuto a pagare il risarcimento all’azienda per l’importo indicato nel contratto: se invece la lettera d’impegno non prevede tale clausola, l’azienda può comunque agire in via giudiziaria, ma deve anche essere in grado di quantificare il danno patito, dimostrando ad esempio di aver subito un pregiudizio per la mancata esecuzione di una prestazione oppure per la perdita di tempo nella ricerca di una nuova risorsa in sostituzione.

A tal proposito, si richiama la sentenza del Tribunale di Forlì del 21 marzo 2023: il caso riguarda un dirigente che aveva sottoscritto un contratto di assunzione con efficacia posticipata, essendo ancora dipendente di un’altra società. Il Dirigente, prima di tale data, comunicava alla società di voler rinunciare all’assunzione, avendo intenzione di rimanere alle dipendenze dell’attuale datore di lavoro; nel caso prospettato l’azienda si era tutelata avendo inserito nella proposta di assunzione una penale per il mancato assolvimento dell’obbligo assunto dal dirigente in conseguenza del suo ripensamento.  

Circa l’opinione di chi sostiene che la lettera d’impegno sia meno vincolante per il datore di lavoro rispetto alla lettera di assunzione, non possiamo non rilevare che, se da un lato effettivamente il datore di lavoro può unilateralmente decidere di rinunciare a procedere all’assunzione, dall’altro tale sua decisione comporterà quasi certamente un danno per il lavoratore: quindi, in caso di contenzioso giudiziario, se il datore di lavoro verrà condannato, si troverà o a dover rispettare l’impegno all’assunzione o, in caso di rifiuto, sarà ritenuto responsabile del danno subito dal lavoratore, con un risarcimento a suo carico.

Sono state però pronunciate diverse sentenze che hanno invece escluso la natura vincolante della proposta di assunzione: si cita la sentenza della Cassazione n°11908/2017, che ha ritenuto che la manifestazione di disponibilità all’assunzione dei contraenti non si traduca ancora in una proposta completa e idonea a perfezionare il contratto. La Corte ha infatti evidenziato che nella proposta inviata al candidato, l’azienda aveva manifestato la sua volontà attraverso l’espressione “eventuale assunzione”: l’avverbio “eventuale”, utilizzato nel testo della proposta, esclude la vincolatività della medesima, poiché “tale condizione dei contraenti giustifica forme di disponibilità all’assunzione, che però non si traducono ancora in una proposta completa e idonea a perfezionare il contratto, al fine di valutare tutti gli elementi di fatto idonei ad escludere qualsiasi equivocità della manifestazione dei consensi”. In tal caso, il criterio dell’interpretazione letterale può essere sufficiente ad escludere la vincolatività della proposta di assunzione.

Lo studio rimane a disposizione.

 

 

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