Facendo seguito alle richieste pervenute in tema di certificazione verde COVID-19 (di seguito “Green Pass”), si intende fornire il quadro attuale riguardante la possibile applicazione nei luoghi di lavoro delle misure adottate dal Governo, anche a fronte dei recenti pronunciamenti della giurisprudenza.

In via preliminare, merita ricordare che il Green Pass è l’attestazione che certifica l’avvenuta vaccinazione, la guarigione dalla malattia Covid-19 ovvero il possesso di tampone negativo che prova l’assenza del virus.

Alla data attuale non esiste una disposizione sull’obbligo generalizzato di possesso del Green Pass (il quale, come detto, non comporta l’obbligo alla vaccinazione) poiché il D.L. n. 105 del 23/7/2021, nel prorogare lo stato di emergenza sino al 31 dicembre 2021, ha solo individuato alcune attività per le quali, ai fini del loro accesso o per la fruizione dei relativi servizi, è necessario esserne muniti.

In particolare, per l’accesso ai luoghi di lavoro, la recente normativa ha previsto l’obbligo di impiego del Green Pass limitatamente a due categorie di lavoratori e specificatamente per gli esercenti e gli operatori del settore sanitario (art. 4 del D.L. n. 44 del 1/5/2021) e per il personale scolastico (art. 9-ter del D.L. n. 111 del 6/8/2021); per queste professioni, nel caso in cui il lavoratore non provveda a vaccinarsi, scatta la sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione che permane fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale e comunque nel limite di durata dell’emergenza sanitaria.

Escluse le categorie citate, nell’ambito delle altre categorie di lavoro, il Garante della Privacy ha pubblicato delle specifiche FAQ con le quali ha precisato che, in assenza di una previsione normativa, il datore di lavoro non può richiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione; ha inoltre specificato che, nell’attesa di un intervento del legislatore nazionale, allo stato attuale solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica al fine di tutelare l’interesse primario di sicurezza nei luoghi di lavoro. Il datore di lavoro dovrà invece limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore (art. 279, 41 e 42 del d.lgs. n.81/2008).

A fronte di tale parere e nel dibattito che ne consegue, la dottrina si è divisa in due orientamenti: secondo un primo orientamento il generale obbligo di garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., costituirebbe una base giuridica sufficiente a giustificare il fatto che il datore di lavoro possa imporre direttamente la vaccinazione, come peraltro espressamente specificato in due recenti pronunce di merito dei tribunali di Verona e Modena (rispettivamente del 24/5/2021 e del 23/7/2021).  In particolare, i casi trattati hanno riguardato alcuni dipendenti di residenze per anziani, dichiaratamente “no vax”, per i quali è stata giudicata legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in considerazione del fatto che la vaccinazione è ritenuta dalla comunità scientifica la misura più idonea nel contrasto alla trasmissione del Covid-19 nell’ambito di un’attività svolta a contatto con il pubblico e caratterizzata da un maggior rischio contagio.

Con il secondo orientamento, invece, la dottrina ritiene che il datore di lavoro abbia la possibilità di sospendere il lavoratore “no vax” solo in presenza di un giudizio di inidoneità o parziale idoneità alla mansione del medico competente, essendo quest’ultimo l’unico soggetto in grado di valutare l’idoneità allo svolgimento delle mansioni dei lavoratori non solo nell’ambito circoscritto alla salute del singolo lavoratore, ma anche nel contesto più ampio della sicurezza nell’ambiente di lavoro, al fine di garantire una maggiore tutela per tutti lavoratori dipendenti e la limitazione del rischio contagio.  

Tale interpretazione è stata avvalorata dal Tribunale di Roma il cui giudice, con pronuncia del 28/7/2021, ha considerato legittima la sospensione di un lavoratore in seguito ad un giudizio di idoneità con limitazioni alle mansioni, valutato che il lavoratore non poteva lavorare in costante contatto con il pubblico in assenza di vaccinazione.  

A fronte di tali orientamenti ed in assenza di uno specifico provvedimento normativo, il tema appare oggi controverso ed è al centro di un ampio dibattito che non permette di dare una risposta univoca rispetto alla obbligatorietà del Green Pass nei luoghi di lavoro.

Pare convincente, tuttavia, l’orientamento secondo il quale, nei casi in cui l’attività espone i lavoratori a contatto con il pubblico o laddove ci sia una particolare promiscuità di soggetti nei luoghi di lavoro i datori di lavoro si appellino al giudizio del medico competente, il quale deve garantire l’applicazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro prevedendo, per esempio, l’obbligo della vaccinazione. Ne consegue che il mancato assolvimento alla disposizione del medico competente può comportare un mutamento di mansioni, anche di livello inferiore ovvero, ove ciò non sia possibile, il provvedimento della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Il Green Pass è stato inoltre protagonista di un altro tema controverso riguardante il suo impiego per l’accesso alle mense aziendali. In particolare, non risulta chiaro se l’art. 3 comma 1 del D.L. 105/2021 assimili le mense ai “servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio, per il consumo al tavolo, al chiuso”, prevedendo così l’obbligo della certificazione verde. In assenza di una specifica norma di legge, i pareri di imprenditori, lavoratori e parti sociali sono in contrasto.  

Il Ministero dell’Interno in data 5 agosto 2021 ha stabilito che “Le attività connesse con la fruizione del vitto (nell’ambito delle mense aziendali) sono consentite a tutto il personale, fermo restando il rispetto dei protocolli o delle linee guida dirette a prevenire o contenere il contagio”, senza che sia previsto un obbligo specifico al possesso del Green Pass, il quale, secondo l’ufficio del Ministero, è necessario solo per l’accesso di persone esterne o di ospiti. Tuttavia, in seguito alla richiesta di un chiarimento interpretativo da parte delle parti sociali, in data 14 agosto 2021 è stata pubblicata una FAQ sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, con la quale il Governo afferma che “per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde COVID-19, analogamente a quanto avviene nei ristoranti”. Ovviamente tale indicazione ha creato ulteriori dubbi.

La Confindustria, con la nota del 18 agosto 2021, facendo proprio l’orientamento del Governo, ha espresso il suo parere sostenendo che la nozione di attività di ristorazione debba essere considerata nella sua accezione più ampia, comprendendo quindi le mense aziendali e i locali aziendali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione, prevedendo che il gestore della mensa si faccia carico del compito di vigilanza rispetto all’obbligo di possesso del Green Pass.

Nonostante l’autorevole parere non risulta ancora possibile fornire un’interpretazione univoca, non essendo ad oggi presente una norma di legge che chiarisca definitivamente qual è l’ambito di applicazione dell’obbligo di impiego della certificazione verde.

Peraltro, anche nel caso di un’interpretazione maggioritaria che veda accogliere favorevolmente l’impiego del Green Pass nelle mense, occorre tener presente che esistono molte realtà aziendali nelle quali l’attività di mensa è gestita direttamente dal datore di lavoro o, più frequentemente, essa è affidata in autogestione ai lavoratori stessi (per esempio, nei casi di catering, food delivery, selfservice…); in queste situazioni si è in assenza di un gestore, ma non per questo viene meno la necessità di verificare se, applicandosi la norma sull’impiego del Green Pass, i lavoratori ne siano provvisti.

Come si vede, il corto circuito provocato dall’incertezza normativa sta alimentando una situazione di confusione che richiede un approccio prudente: in attesa dei necessari chiarimenti è opportuno che le decisioni del datore di lavoro siano valutate caso per caso, in base al contesto aziendale.

Le sentenze finora emesse costituiscono un utile indicatore che supporta il datore di lavoro nella decisione di operare per la sospensione dal rapporto di lavoro nei confronti dei dipendenti che si dichiarassero contrari alla vaccinazione; è senz’altro più difficile identificare coloro che rifiutano il vaccino, se non si dichiarano espressamente, stante il divieto di chiedere di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale.

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